Smart Working: consigli utili per lavorare da casa

C’è una bella differenza tra “portarsi il lavoro a casa” e “lavorare da casa”.

Il primo caso è quello di chi non smette di lavorare in ufficio ma, per necessità, vocazione o perversione, continua a farlo anche a casa. Il secondo è una modalità di lavoro che, considerando la cultura organizzativa media italiana, rappresenta una piccola rivoluzione che si va diffondendo rapidamente.

Concentriamoci sull’aspetto del remote working, una componente fondamentale dello smart working (prima o poi torneremo sulla correttezza della terminologia!), che nasce come opportunità di efficienza per azienda e persone. Più produttività, più comodità, meno viaggi e spostamenti … e tanti altri benefici.

 

Sappiamo benissimo che il luogo di lavoro conta. E quando siamo a casa? Chi ha uno studio, una scrivania, uno spazio dedicato (“ufficio domestico”) ha un piccolo privilegio, ma chi deve lavorare sul tavolo di cucina o dovendo inventarsi schermi sonori e visivi dalle continue e affettuosissime attenzioni di familiari e conviventi (che riscoprono di avere tantissimo bisogno di noi quando siamo al lavoro), rischia di mettere a repentaglio un’opportunità che è assolutamente da cogliere.

 

Negli ultimi anni abbiamo lavorato in diversi progetti legati per vari motivi allo Smart Working. Dal welfare interno alla digital transformation. Noi stessi in H2O, non volendo un classico ufficio fisico unico, e lavorando sempre da luoghi diversi o da casa propria (NB: siamo spesso anche in nazioni diverse) abbiamo adottato lo smart working.

 

Da queste esperienze, facciamo qualche riflessione e azzardiamo qualche consiglio:

 

  1. Orari. Quando si inizia, si inizia! E così pure, quando si finisce, si finisce! Definiamo subito un inizio e una fine. L’ideale sarebbe portare a casa gli orari del lavoro, ma siccome al lavoro gli orari non sono ovunque e per tutti “certi”, definiamo comunque un orario di inizio e di fine. Altrimenti, abituandosi a lavorare da casa, con quel pc acceso e vicino … può diventare un riflesso quello di interrompere e continuare. La produttività nel breve crescerebbe, ma le logiche di benessere si dissolverebbero presto.
  2. Tempi. Diamoci sempre tempi e obiettivi. Potremmo essere o così assorti da non renderci conto del tempo impiegato o così distraibili da fermarci in continuazione. La cosa migliore dunque è quella di procedere per obiettivi e tempi dedicati: faccio questa attività e non mi muovo per i prossimi 45 minuti. Il lavoro è come il fumo, tende a occupare tutto lo spazio disponibile. Darsi tempi, pause e orari, significa sfruttare al massimo l’efficienza del remote working.
  3. Pause e Interruzioni. Il rischio principale di lavorare da casa, quando non si è abituati, è quello di interrompersi o di essere interrotti. Occorre creare le condizioni per non essere interrotti. Isolamento suona male, ma avvisiamo i conviventi di essere “al lavoro” e chiediamo a tutti i potenziali intervenienti di trattarci come se fossimo in ufficio (o come se non fossimo a casa). Può sembrare un po’ brutale, ma è importante proteggere lo spazio lavorativo. Sfruttiamo le pause, per ricongiungerci con gli spazi di casa: prendere un caffè, curare le piante, riordinare. Quel momento di intimità domestica deve diventare una piccola ricompensa per il lavoro fatto con dedizione e continuità.
  4. Ambiente. L’ambiente di lavoro favorisce produttività, appartenenza, qualità, creatività … e quando si lavora da casa? Se non possiamo avere uno “spazio di lavoro”, sarebbe splendido a uso esclusivo, cerchiamo di crearci uno spazio ad hoc, evitando di metterci a lavorare dove di solito facciamo altre attività: tavolo da pranzo, poltrona “preferita”, tavolo bricolage o quant’altro. Il punto è non confondere uno spazio privato con uno spazio lavorativo. Alto rischio di distrazioni, rischio di contagio emotivo (eventi lavorativi negativi possono far perdere “magia” ai nostri luoghi) e possibile confusione kafkiana tra ufficio e passione.
  5. Office–Home Balance. C’era una volta il work-life balance (oggi work-life integration)… mentre nello smart working va trovato il bilanciamento tra lo spazio-tempo delle attività lavorative e lo spazio-tempo di quelle domestiche, considerando che il “dove” queste si realizzano è lo stesso posto. Confondere spazio-casa e spazio-lavoro può far perdere identità ai nostri “luoghi”, anche se separarli è molto difficile per tante ragioni. Non da ultima, la logistica disponibile. Può capitare (a me è successo spesso) di non capire se stiamo lavorando o no, se quella sia una cena o una “pausa cena” (in contrapposizione alla pausa pranzo), considerando che il lavoro inizia lì dove finisce una normale routine domestica. Il rischio è veramente minimo in caso di remote working fatto una volta a settimana, ma per attività continuative e molto intense …

Qui ci sono due scuole di pensiero dominanti.

La prima dice Always On: PC, tablet, smartphone, il lavoro ci segue ovunque, e noi abbiamo accesso a lui ovunque. Organizziamoci per questa convivenza, senza rimorsi.

La seconda è quella che definirei della Bat-Caverna: spazio di lavoro dedicato, spazio di vita riservato. A volte lo spazio casa e lo spazio lavoro sono gli stessi, ma ci si dovrebbe creare una sorta di Bat-Caverna: quando siamo in missione, su con l’uniforme e si lavora, altrimenti, riprendiamoci l’identità di Bruce Wayne e … godiamoci la nostra casa.

Tra le due c’è una scelta personale. Ognuno fa la sua, sulla base di quello che sente e vuole.

Però, una posizione sento di poterla prendere, esplicitando la mia. Io scelgo la Bat Caverna e separo (anzi provo costantemente a separare), il mio spazio-tempo di lavoro dallo spazio tempo di casa. Altrimenti … sarebbe come portarmi il lavoro a casa.

 

 

 

Silvio Malanga

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